Il riutilizzo ipotecato

2008, Bari: “Nella lotta alla mafia le banche facciano la loro parte: diano il via ad una sanatoria per i beni confiscati che, spesso, non possono essere utilizzati dalla collettività perché ci sono ipoteche da parte delle banche”;

2009, Napoli: “Il 36% dei beni confiscati alla criminalità organizzata è sotto l’ipoteca delle banche”;

2010, Castelvetrano (Tp): “Il 42% dei beni confiscati è sotto ipoteca bancaria”;

2011, Milano, Torino, Genova, Roma, Novara: “Il 50% dei beni confiscati alla mafia in Italia non possono essere utilizzati perché sono sotto ipoteca bancaria”.

Dichiarazioni sui beni confiscati di Don Luigi Ciotti.

I dati citati dal presidente di Libera si riferiscono ai beni in gestione pubblicati nel corso del tempo nelle relazioni dell’Agenzia del demanio e, per l’ultimo anno, nel primo rapporto dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati pubblicato nel gennaio 2011, consultabile sul sito.

Ma cosa sono le ipoteche e perché incidono sul riutilizzo dei beni confiscati?

Le ipoteche sono la garanzia di un contratto di mutuo a favore di un istituto di credito (banca o finanziaria). Sono di tipo volontario quando il proprietario di un bene mobile registrato (automobili, aerei, navi) o di un bene immobile o di un diritto reale di godimento sugli immobili (usufrutto, abitazione, diritto di superficie) sottoscrive liberamente il contratto. Ciò significa che quando chi chiede un mutuo non può onorarlo, chi ha erogato il prestito ha il diritto di espropriare il bene ipotecato e ricavare dalla vendita il denaro che non è stato restituito. Sono di tipo giudiziale quando vengono disposte dal giudice che condanna il contraente a pagare un debito a favore del creditore. Sono di tipo legale quando sono espressamente previste da una norma. I tre tipi possono coesistere sullo stesso bene nello stesso periodo di tempo.

Il problema legato al riutilizzo nasce quando un bene ipotecato viene confiscato ed entra a far parte del patrimonio indisponibile dello Stato perché essendo stato dato a garanzia di una somma di denaro, i creditori possono rivalersi e chiedere che il bene venga riscattato dallo Stato stesso – pagando l’importo dovuto – o ceduto per essere destinato all’incanto e ricavare così le somme spettanti, ma essendo un bene confiscato non può essere venduto salvo in casi particolari (regolamentati dalla legge 50/2010 e dal codice Alfano, ma ad oggi ancora inapplicato). Questo meccanismo blocca di fatto l’avvio di un processo di riutilizzo sociale o istituzionale che sia.

Risulta dunque evidente il danno che il nodo ipoteche genera nel processo reale di restituzione dei beni alla collettività.

In cifre, in Piemonte i beni confiscati gravati da una o più ipoteche sono ventisei, in media non sono utilizzati da undici anni (anno della confisca definitiva) pari ad un quinto dei beni totali.

Per cercare di sciogliere il nodo sono state avanzate diverse proposte dai soggetti interessati dalla gestione dei beni confiscati e dagli istituti di credito: la prima è, come affermato poc’anzi, la vendita dei beni, possibilità che farebbe risparmiare costi in termini di tempo e denaro, ma avrebbe alti costi morali e civili rappresentando di fatto l’incapacità delle istituzioni di gestire ciò che è stato sottratto alla criminalità organizzata.

La seconda è la cancellazione delle ipoteche per le quali non si possa provare la buonafede della banca e, a corredo, la stesura di regolamenti chiari che permettano di verificare la trasparenza degli istituti di credito e dei contraenti l’ipoteca per non rischiare, come successo nel corso del tempo, di erogare denaro a criminali riconosciuti o a soggetti loro vicini.

La terza è il pagamento delle ipoteche da parte dello Stato o dei comuni che accettano la destinazione del bene confiscato, con l’utilizzo del Fondo Unico Giustizia o con le magre casse degli enti locali.

La quarta è l’utilizzo dei fondi regionali PISL – Piani Integrati Sviluppo Locale – avanzata da Gaetano Raffa, presidente del Coordinamento per l’indipendenza sindacale delle forze di polizia (COISP) di Reggio Calabria. Si tratta di fondi europei, integrati da finanziamenti nazionali e regionali che con cadenza settenale vengono stanziati per raggiungere obiettivi che vanno dallo sviluppo economico nei settori agricolo (FEASR) e industriale (FESR), della pesca (FEP) sino al recupero delle aree sottoutilizzate (FAS)  e allo sviluppo sociale (FSE). Raffa propone che i comuni, consorziandosi tra loro, con la provincia e con le associazioni del territorio, partecipino ai bandi regionali per l’erogazione dei fondi previsti dai PISL proponendo progetti attivabili all’interno di strutture confiscate di modo da incrementare i finanziamenti per il recupero dei beni stessi. E’ importante sottolineare che, a differenza di altri finanziamenti (tipo quelli previsti dal PON Sicurezza), questi sono erogati a tutte le regioni in misura proporzionata agli obiettivi individuati per ciascun fondo specifico. In ambito piemontese si parla di più di tre miliardi di risorse previsti nell’ultimo stanziamento (2007- 2013) a tutte le realtà attive sul territorio: dalle società (spa, snc, coop …) sino alle ONLUS e agli enti provinciali e comunali.

Accanto a queste soluzioni è da notare una potenziale quinta proposta, che dovrebbe scaturire dall’incontro dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione dei beni sequestrati e confiscati con l’ABI (associazione nazionale degli istituti di credito). Ad oggi si registrano più incontri tra i due soggetti – e prima della nascita dell’ANBSC tra l’Agenzia del demanio e l’ABI – ma nessun frutto è ancora maturato.

Nessuna delle soluzioni proposte appare al momento adeguata ad accontentare tutte le parti in gioco, ma come dimostrano casi recenti – Verbumcaudo o Cermenate – la collaborazione tra le persone che rappresentano i giocatori può fare la differenza. Concertazione, responsabilità, impegno delle singole istituzioni coinvolte, per il bene comune.

 

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